Il
sonno di Mark non fu tranquillo. Sognò di essere sul bordo di un precipizio e
sul fondo di questo un cumulo di serpenti sibilava minaccioso verso di lui. Sembravano
così reali: quei piccoli occhi neri parevano volergli scavare dentro e quel
sibilare sinistro lo teneva incollato, come sotto una specie di trance, al bordo
della rupe, una rupe che non aveva mai visto prima. Più volte, nel
sogno, aveva provato a girarsi, ma invano, la strada dietro di lui scompariva
ogni qual volta provava a fare un passo indietro. Era bloccato. Poi un rumore
simile allo sbriciolarsi del terreno ed ecco che, una voragine buia, si apriva
sotto di lui facendolo precipitare nel cumulo di serpenti. A Mark sembrò di
sentire i loro denti aguzzi sulle caviglie, sulle braccia e infine sul collo.
Nella rappresentazione del sogno era cosciente di quello che gli stava
accadendo: stava morendo. Si svegliò madido di sudore e, passandosi una mano
sulla fronte, si accorse che scottava. Poggiò la testa sulla spalla sinistra
rimanendo in una posizione d’ ascolto e, senza volerlo, la sua mente corse agli
eventi della sera precedente. Rivide Rose riversa nel terreno, la fronte sporca
di fango misto a terriccio, i lineamenti del volto stravolti
dalla metamorfosi. Chiuse gli occhi, come a voler cacciare quella visione e,
comprendendo che non si sarebbe più riaddormentato, cacciò via le coperte e
poggiò i piedi nudi sul pavimento gelido. Il freddo pungente, per un attimo lo
fece sentire meglio. Tossì, dopo di che prese la vestaglia marrone che
indossava solitamente la mattina e indossatala, si alzò nel buio della stanza.
Sentì il respiro pesante di sua moglie e costatò con un pizzico d’ invidia che
dormiva profondamente. Poi si pentì. Jennifer risentiva molto del comportamento
anomalo di sua figlia e la decisione di andare da uno spremi cervelli, di certo
l’aveva provata. Mentre pensava, Mark prese a vagare per la stanza, passò
davanti al comodino di sua moglie e riuscì a mettere a fuoco le cornici
contenenti le foto di Elisabeth, Kate e Rose. Poggiò le mani sul bordo in legno
e provò un senso di profonda impotenza. Amava tanto Rose e quel non poter
far nulla lo faceva sentire così
inutile. Sentì un leggero sospiro e fu colto dal panico. Probabilmente i suoi
passi avevano svegliato sua moglie, ma una volta voltatosi si accorse che dormiva ancora profondamente.
Devo essermelo immaginato
– penso tra sé. Ma ecco una serie di passi, fuori dalla porta. Passi felpati,
di chi non vuole essere scoperto. Mark avvertì un brivido viaggiare per tutta
la schiena. Forse Kate aveva solo bisogno di un bicchier d’ acqua o magari
Elisabeth doveva semplicemente andare al bagno.
Andiamo, non iniziare con la tua solita paranoia – Ma un nuovo rumore lo mise in allarme, tanto da
costringerlo ad uscire dalla camera da letto. Prima di farlo, però, si voltò
nuovamente a guardare sua moglie. Era ancora lì, accovacciata sotto le pesanti
coperte di lana. Uscito dalla stanza, Mark dovette serrare le palpebre per
mettere a fuoco gli oggetti nel buio. Vide una luce provenire dal basso e si
precipitò verso il piano inferiore facendo gli scalini a due a due. Arrivato al
pian terreno rimase come pietrificato. La porta d’ ingresso era spalancata,
qualcuno era uscito di casa e subito il pensiero volò a Rose. Mark riprese
rapidamente coscienza di sé e, come un fulmine si fiondò fuori dalla gelida abitazione. L’aria
fredda della notte gli pizzicò le narici e gli fece lacrimare gli occhi ma
questo era nulla rispetto al tumulto che aveva dentro al cuore. Serrò nuovamente
le palpebre scrutando attentamente i campi di grano e, il suo impegno venne
premiato. Scorse un leggero movimento nella parte centrale del secondo campo,
quello vicino alla grande staccionata in legno massiccio della fattoria. Mark
si tuffò tra le spighe di granoturco, le pantofole finivano continuamente nel
terreno umido e la camminata appariva più difficoltosa del previsto. Decise di
toglierle e, a piedi nudi, prese a camminare più velocemente. Sentì la pianta
dei piedi dolergli, di sicuro una spina gli si era conficcata nell’ alluce
destro, ma non era importante, ciò che contava in quella situazione era trovare
Rose.
Non è mai stata sonnambula, cosa le sta succedendo? – Fu preso dal terrore. E, un sinistro presentimento prese
forma dentro di lui. Le spighe, così fitte, così alte e compatte non gli
permettevano di capire dove stesse andando e se non avesse conosciuto così
bene quei campi, probabilmente si sarebbe perso.
Arrivò
lì dove aveva scorto il movimento. Ansimava per la fatica e un rivolo di sudore
dalla tempia destra gli si era riversato sulla bianca maglia da notte. Il
petto, possente e scolpito dal pesante lavoro dei campi, andava su e giù scosso
dalla fatica e dall’ ansia. Si guardò intorno, scostò diverse spighe di
granoturco che lo circondavano, ma di Rose nessuna traccia. Prese a chiamarla a
gran voce ma, come risposta, ottenne solo il lieve sussurro del vento che gli
accarezzava dolcemente la nuca. Chiamò nuovamente il nome di sua figlia e,
questa volta, uno stormo di corvi si alzò in volo da campo andandosi
poi ad appollaiare sulla vicina staccionata.
Dovrò prendere degli spaventapasseri – pensò Mark con aria contrariata e prese ad osservare con odio
quei piccoli pennuti neri. Dopo un po’ iniziò a camminare e, con aria affranta
si diresse nuovamente verso la fattoria. Avrebbe svegliato immediatamente sua
moglie e insieme sarebbero andati a cercare Rose, se non era nei campi, di
certo non poteva essere andata lontano. Con passo lesto arrivò fino alla
fine dell’ultimo campo, la fattoria era a pochi passi e davanti a lui comparve
nuovamente la grande porta d’ ingresso, completamente spalancata. Aveva
dimenticato di chiuderla. Uscì dal campo e quando la vista gli fu libera dalle spighe di grano, per poco non si senti mancare. Il
cuore prese a battergli all’ impazzata e per un attimo credette che gli stesse
per venire un infarto. Dinanzi a lui, poco distante, sua figlia se ne stava
accovacciata, la faccia rivolta al terreno, sembrava stesse scavando qualcosa. Mark si avvicinò
lentamente. Se Rose era davvero sonnambula la cosa migliore da fare era
non svegliarla per nessun motivo.
Ma certo che è sonnambula, Mark, credi sia arrivata qui fuori
giusto per fare una passeggiata al chiaro di luna?! – La sua mente prese a rimproverarlo.
Mark
arrivò alle spalle di Rose e in quel momento udì come un biascicare di parole.
Sua figlia stava recitando una specie di litania, in una lingua che sembrava non essere più
di questo mondo mentre, con fare lesto, prendeva qualcosa dal terreno portandoselo
rapidamente alla bocca.
«Rose,
va tutto bene?» Chiese suo padre con voce tremula.
Rose
non ripose ma continuava a recitare quella cantilena dal tono sinistro. Mark si
sporse meglio, per udire quelle parole e sua figlia alzò la voce, come per far sentire meglio ciò che stava dicendo: «al aniger id ostequ onger è
atamaffa.» Mark rimase come intontito, quelle parole non volevano dire
assolutamente nulla, sembravano far parte di una sequenza senza alcun senso.
Rose intanto continuava a scavare nel terreno graffiandosi le dita a sangue, ma per quanto si sforzasse, Mark
non riusciva a vedere cosa stesse prendendo da quella fossa, quel buco che lei stessa aveva originato con le sua mani. Poi accadde una cosa: Rose prese a
recitare quelle parole più forte e fu allora che Mark, prendendo coraggio, si
spostò dirimpetto a lei. Quello che vide lo lasciò come tramortito. Rose teneva
in mano un pugno di vermi vivi, appena presi dal terreno e con fare lesto se li
portava alla bocca masticandoli con gusto e sorridendo sardonicamente. Rimasto come
pietrificato, Mark notò che le iridi le si erano completamente rovesciate nelle
orbite. Improvvisamente la bambina si bloccò e, alzatasi, fu scossa da un
tremito violento. Il vento le fece ondeggiare la piccola vestaglia da notte.
«Rose,
ti prego, dimmi cosa sta succedendo!» Involontariamente Mark alzò la voce ma
subito si pentì, pesando che la cosa più importante in quel momento fosse
riportare sua figlia dentro. Ad un tratto Rose si irrigidì, simile ad una
statua di sale infissa nel terreno, poi come se non avesse più il controllo dei
suoi arti, cadde a peso morto in braccio a suo padre. Mark rimase ad ascoltare quel respiro così pesante, così innaturale, sullo sfondo le spighe di granoturco
oscillavano mosse da un vento gelido. Rimasero così per ben dieci minuti,
abbracciati tra il terrore e l’ incoscienza, poi Mark prese in braccio Rose e
voltatosi si diresse verso casa. Fu solo allora che notò sua moglie venirgli
incontro dalle scale, era paonazza.
«Cosa
diavolo è successo? Cosa è successo a Rose?!» Gridò così forte da far paura.
«Andiamo
dentro, Jenn, ne parleremo con calma.» Jennifer fece una smorfia di disappunto
e a passo lesto, dietro Mark, si diresse verso la porta d’ ingresso. Ad un
certo punto lui si bloccò. Rimase fermo con sua figlia in braccio al secondo
gradino del porticato. Jennifer prese a fissarlo intontita prima di pronunciare
un preoccupato: «Che c’è?» Mark fece segnò di non disturbarlo con un movimento
della testa. Dentro la sua mente una remota lampadina aveva preso a funzionare.
Rose non aveva parlato una lingua diversa, né tanto meno una lingua
sconosciuta. Era la loro. Semplicemente al contrario.
«Al
aniger id ostequ onger è atamaffa.»
«La
regina di questo mondo è affamata.»
Entrarono
velocemente in casa, serrando la porta d’ ingresso e cercando di tenere in
qualche modo fuori da casa loro l’ orrore di quella notte.
MATERIALE TUTELATO DA COPYRIGHT ©
ROMANZO IN USCITA IL 31 OTTOBRE 2016 - EDIZIONI PAGURO
MARIANO CIARLETTA
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