sabato 1 ottobre 2016

The Necklace. L' esorcismo di Rose Hoden - ANTEPRIMA CAPITOLO 10

Il sonno di Mark non fu tranquillo. Sognò di essere sul bordo di un precipizio e sul fondo di questo un cumulo di serpenti sibilava minaccioso verso di lui. Sembravano così reali: quei piccoli occhi neri parevano volergli scavare dentro e quel sibilare sinistro lo teneva incollato, come sotto una specie di trance, al bordo della rupe, una rupe che non aveva mai visto prima. Più volte, nel sogno, aveva provato a girarsi, ma invano, la strada dietro di lui scompariva ogni qual volta provava a fare un passo indietro. Era bloccato. Poi un rumore simile allo sbriciolarsi del terreno ed ecco che, una voragine buia, si apriva sotto di lui facendolo precipitare nel cumulo di serpenti. A Mark sembrò di sentire i loro denti aguzzi sulle caviglie, sulle braccia e infine sul collo. Nella rappresentazione del sogno era cosciente di quello che gli stava accadendo: stava morendo. Si svegliò madido di sudore e, passandosi una mano sulla fronte, si accorse che scottava. Poggiò la testa sulla spalla sinistra rimanendo in una posizione d’ ascolto e, senza volerlo, la sua mente corse agli eventi della sera precedente. Rivide Rose riversa nel terreno, la fronte sporca di fango misto a terriccio, i lineamenti del volto stravolti dalla metamorfosi. Chiuse gli occhi, come a voler cacciare quella visione e, comprendendo che non si sarebbe più riaddormentato, cacciò via le coperte e poggiò i piedi nudi sul pavimento gelido. Il freddo pungente, per un attimo lo fece sentire meglio. Tossì, dopo di che prese la vestaglia marrone che indossava solitamente la mattina e indossatala, si alzò nel buio della stanza. Sentì il respiro pesante di sua moglie e costatò con un pizzico d’ invidia che dormiva profondamente. Poi si pentì. Jennifer risentiva molto del comportamento anomalo di sua figlia e la decisione di andare da uno spremi cervelli, di certo l’aveva provata. Mentre pensava, Mark prese a vagare per la stanza, passò davanti al comodino di sua moglie e riuscì a mettere a fuoco le cornici contenenti le foto di Elisabeth, Kate e Rose. Poggiò le mani sul bordo in legno e provò un senso di profonda impotenza. Amava tanto Rose e quel non poter far  nulla lo faceva sentire così inutile. Sentì un leggero sospiro e fu colto dal panico. Probabilmente i suoi passi avevano svegliato sua moglie, ma una volta voltatosi si accorse che dormiva ancora profondamente.
Devo essermelo immaginato – penso tra sé. Ma ecco una serie di passi, fuori dalla porta. Passi felpati, di chi non vuole essere scoperto. Mark avvertì un brivido viaggiare per tutta la schiena. Forse Kate aveva solo bisogno di un bicchier d’ acqua o magari Elisabeth doveva semplicemente andare al bagno.
Andiamo, non iniziare con la tua solita paranoia – Ma un nuovo rumore lo mise in allarme, tanto da costringerlo ad uscire dalla camera da letto. Prima di farlo, però, si voltò nuovamente a guardare sua moglie. Era ancora lì, accovacciata sotto le pesanti coperte di lana. Uscito dalla stanza, Mark dovette serrare le palpebre per mettere a fuoco gli oggetti nel buio. Vide una luce provenire dal basso e si precipitò verso il piano inferiore facendo gli scalini a due a due. Arrivato al pian terreno rimase come pietrificato. La porta d’ ingresso era spalancata, qualcuno era uscito di casa e subito il pensiero volò a Rose. Mark riprese rapidamente coscienza di sé e, come un fulmine si fiondò fuori dalla gelida abitazione. L’aria fredda della notte gli pizzicò le narici e gli fece lacrimare gli occhi ma questo era nulla rispetto al tumulto che aveva dentro al cuore. Serrò nuovamente le palpebre scrutando attentamente i campi di grano e, il suo impegno venne premiato. Scorse un leggero movimento nella parte centrale del secondo campo, quello vicino alla grande staccionata in legno massiccio della fattoria. Mark si tuffò tra le spighe di granoturco, le pantofole finivano continuamente nel terreno umido e la camminata appariva più difficoltosa del previsto. Decise di toglierle e, a piedi nudi, prese a camminare più velocemente. Sentì la pianta dei piedi dolergli, di sicuro una spina gli si era conficcata nell’ alluce destro, ma non era importante, ciò che contava in quella situazione era trovare Rose.
Non è mai stata sonnambula, cosa le sta succedendo? – Fu preso dal terrore. E, un sinistro presentimento prese forma dentro di lui. Le spighe, così fitte, così alte e compatte non gli permettevano di capire dove stesse andando e se non avesse conosciuto così bene quei campi, probabilmente si sarebbe perso.
Arrivò lì dove aveva scorto il movimento. Ansimava per la fatica e un rivolo di sudore dalla tempia destra gli si era riversato sulla bianca maglia da notte. Il petto, possente e scolpito dal pesante lavoro dei campi, andava su e giù scosso dalla fatica e dall’ ansia. Si guardò intorno, scostò diverse spighe di granoturco che lo circondavano, ma di Rose nessuna traccia. Prese a chiamarla a gran voce ma, come risposta, ottenne solo il lieve sussurro del vento che gli accarezzava dolcemente la nuca. Chiamò nuovamente il nome di sua figlia e, questa volta, uno stormo di corvi si alzò in volo da campo andandosi poi ad appollaiare sulla vicina staccionata.
Dovrò prendere degli spaventapasseri – pensò Mark con aria contrariata e prese ad osservare con odio quei piccoli pennuti neri. Dopo un po’ iniziò a camminare e, con aria affranta si diresse nuovamente verso la fattoria. Avrebbe svegliato immediatamente sua moglie e insieme sarebbero andati a cercare Rose, se non era nei campi, di certo non poteva essere andata lontano. Con passo lesto arrivò fino alla fine dell’ultimo campo, la fattoria era a pochi passi e davanti a lui comparve nuovamente la grande porta d’ ingresso, completamente spalancata. Aveva dimenticato di chiuderla. Uscì dal campo e quando la vista gli fu libera dalle spighe di grano, per poco non si senti mancare. Il cuore prese a battergli all’ impazzata e per un attimo credette che gli stesse per venire un infarto. Dinanzi a lui, poco distante, sua figlia se ne stava accovacciata, la faccia rivolta al terreno, sembrava stesse scavando qualcosa. Mark si avvicinò lentamente. Se Rose era davvero sonnambula la cosa migliore da fare era non svegliarla per nessun motivo.
Ma certo che è sonnambula, Mark, credi sia arrivata qui fuori giusto per fare una passeggiata al chiaro di luna?! – La sua mente prese a rimproverarlo.
Mark arrivò alle spalle di Rose e in quel momento udì come un biascicare di parole. Sua figlia stava recitando una specie di litania, in una lingua che sembrava non essere più di questo mondo mentre, con fare lesto, prendeva qualcosa dal terreno portandoselo rapidamente alla bocca.
«Rose, va tutto bene?» Chiese suo padre con voce tremula.
Rose non ripose ma continuava a recitare quella cantilena dal tono sinistro. Mark si sporse meglio, per udire quelle parole e sua figlia alzò la voce, come per far sentire meglio ciò che stava dicendo: «al aniger id ostequ onger è atamaffa.» Mark rimase come intontito, quelle parole non volevano dire assolutamente nulla, sembravano far parte di una sequenza senza alcun senso. Rose intanto continuava a scavare nel terreno graffiandosi le dita a sangue, ma per quanto si sforzasse, Mark non riusciva a vedere cosa stesse prendendo da quella fossa, quel buco che lei stessa aveva originato con le sua mani. Poi accadde una cosa: Rose prese a recitare quelle parole più forte e fu allora che Mark, prendendo coraggio, si spostò dirimpetto a lei. Quello che vide lo lasciò come tramortito. Rose teneva in mano un pugno di vermi vivi, appena presi dal terreno e con fare lesto se li portava alla bocca masticandoli con gusto e sorridendo sardonicamente. Rimasto come pietrificato, Mark notò che le iridi le si erano completamente rovesciate nelle orbite. Improvvisamente la bambina si bloccò e, alzatasi, fu scossa da un tremito violento. Il vento le fece ondeggiare la piccola vestaglia da notte.
«Rose, ti prego, dimmi cosa sta succedendo!» Involontariamente Mark alzò la voce ma subito si pentì, pesando che la cosa più importante in quel momento fosse riportare sua figlia dentro. Ad un tratto Rose si irrigidì, simile ad una statua di sale infissa nel terreno, poi come se non avesse più il controllo dei suoi arti, cadde a peso morto in braccio a suo padre. Mark rimase ad ascoltare quel respiro così pesante, così innaturale, sullo sfondo le spighe di granoturco oscillavano mosse da un vento gelido. Rimasero così per ben dieci minuti, abbracciati tra il terrore e l’ incoscienza, poi Mark prese in braccio Rose e voltatosi si diresse verso casa. Fu solo allora che notò sua moglie venirgli incontro dalle scale, era paonazza.
«Cosa diavolo è successo? Cosa è successo a Rose?!» Gridò così forte da far paura.
«Andiamo dentro, Jenn, ne parleremo con calma.» Jennifer fece una smorfia di disappunto e a passo lesto, dietro Mark, si diresse verso la porta d’ ingresso. Ad un certo punto lui si bloccò. Rimase fermo con sua figlia in braccio al secondo gradino del porticato. Jennifer prese a fissarlo intontita prima di pronunciare un preoccupato: «Che c’è?» Mark fece segnò di non disturbarlo con un movimento della testa. Dentro la sua mente una remota lampadina aveva preso a funzionare. Rose non aveva parlato una lingua diversa, né tanto meno una lingua sconosciuta. Era la loro. Semplicemente al contrario.
«Al aniger id ostequ onger è atamaffa.»
«La regina di questo mondo è affamata.»


Entrarono velocemente in casa, serrando la porta d’ ingresso e cercando di tenere in qualche modo fuori da casa loro l’ orrore di quella notte.




MATERIALE TUTELATO DA COPYRIGHT ©

ROMANZO IN USCITA IL 31 OTTOBRE 2016 - EDIZIONI PAGURO

MARIANO CIARLETTA

Nessun commento:

Posta un commento

Visualizzazioni totali